"Sia che tu vinca o che tu perda, devi cercare di portare sempre una cosa a casa: la dignità". Nel corso dei decenni il calcio si è arricchito non solo di gesti tecnici, tattiche e situazioni varie che ne hanno fatto la storia, ma anche di aneddoti e soprattutto di massime che riescono a riassumere l'essenza dei suoi diversi aspetti in pochissime parole, sprigionate per dar voce in maniera moderata e quasi raffinata ad esigenze e situazioni di insoddisfazione che attengono il rettangolo di gioco.
E non ci prendiamo la briga di scomodare Franz Beckenbauer per il semplice gusto di farlo né tantomeno per provare ad aggiungere chissà quale aura poetica al nostro discorso, ma perché sabato sera il Catania, nella partita più importante dell'anno, nella partita maggiormente sentita dalla piazza, a tratti non ha obbedito a tale detto.
Un Catania distratto, supponente e svogliato è stato travolto dal "nemico giurato" in termini sportivi, un Palermo con la bava alla bocca che ha azzannato i rossazzurri non appena ha aperto le fauci. Difficile ricondurre tutto alla situazione di classifica, alla vigilia tranquilla per gli etnei e problematica per i rosanero che avevano bisogno dei tre punti, come è difficile anche attribuire i rapporti di forza instauratisi in campo alle dichiarazioni rilasciate in settimana e nell'immediata vigilia dall'ex per eccellenza, Pietro Lo Monaco, in un contesto in cui in ogni caso per l'etica calcistica è quasi tutto permesso.
La serata da dimenticare nel catino del "Barbera" trae origine prima di tutto da una spinta interiore verso il massimo, in termini di concentrazione, determinazione e propensione al sacrificio, che non c'è mai stata. Il regime di porte chiuse e di silenzio assoluto adottato dalla società a maggior ragione non permette di verificare se il gruppo di Maran si sia preparato adeguatamente in settimana, ma si tratta in ogni caso di valutazioni nel cui merito non vogliamo entrare. Ci atteniamo all'osservazione diretta di quanto visto in campo, e lì piuttosto sorgono i dubbi sullo spirito e sull'atteggiamento tenuto fin dalle ore precedenti la gara.
Una gara decisa in partenza dall'approccio sbagliato e dall'assenza (mentale) di quelli che dovevano essere gli uomini-chiave: non c'è stata nemmeno l'ombra della "garra" e del tempismo di Spolli, Almiron ha corso per metà rispetto ai suoi standard e perdipiù a vuoto, Gomez è stato ingabbiato dalla disposizione difensiva di Gasperini e non è mai riuscito ad attaccare negli spazi e a creare superiorità numerica.
L'assenza più inquietante riguarda però un giocatore che fino ad una settimana fa ha rivendicato maggiore spazio in campo, arrivando a forme di manifestazione del proprio stato d'animo tanto lampanti quanto poco rispettose. Si tratta di Pablo Barrientos, che dopo la sfuriata di Cagliari e il tweet di "addio" post-Chievo ha distrutto in 90 minuti le proprie pretese. Superficiale, molle, agonisticamente dormiente e totalmente avulso dalla partita, ha costituito l'esempio vivente di come non si onora la maglia che si porta addosso.
La realtà di Catania può star stretta a qualcuno, ma mai come in questo momento, dopo un derby fragorosamente steccato, ci vogliono applicazione e impegno massimi da parte di tutti. Chi per qualsivoglia motivo non sia in grado di dare garanzie sufficienti in tal senso è giusto che stia fuori, la percezione della propria maggiore forza tecnica va accompagnata dalla giusta sicurezza, ma anche e soprattutto dalla giusta responsabilità: un concetto che Maran ha attenzionato più volte in conferenza stampa e che tornerà sicuramente a ribadire.
La posizione in classifica è ancora buona, ma bisogna recuperare quella voglia di lottare, quell'umiltà, quello spirito di abnegazione che per questo Catania è lubrificante puro. Nella brevissima settimana che precederà la sfida con il Milan al "Massimino" anche la piazza dovrà dare il suo piccolo contributo, non solo con il sostegno allo stadio ma anche e soprattutto evitando di creare quel clima entusiastico di vittoria anticipata che ha campeggiato per le vie della città prima del derby.
Alle pendici dell'Etna arriverà un "Diavolo" in netta ascesa nel morale e nel gioco, dove il Catania non è mai stato il Barcellona e commetterebbe un grave errore nel sentirsi tale, ma deve recuperare la consapevolezza (e la responsabilità, non la dimentichiamo neppure noi) del suo valore.
Fonte:Golsicilia.it
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